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Due stelle a Ischia. Chef Nino di Costanzo torna alle origini. La SUA Danì Maison!

Non sono un critico gastronomico, non mi elevo a tale rango, non lo voglio fare, non lo farò mai. Non userò mai termini abbastanza tecnici ma amo mangiare. Almeno quanto amo la tecnologia. E so cosa è buono e cosa non è buono.

Approcciare un racconto di un pranzo in un ristorante di altissimo livello è sempre difficile ma ci proverò. Come sempre alla mia maniera!

Tutto inizia ai piedi di una salita e di una stradina, stretta, in salita, dissestatissima. Con Chiara ci si guarda in faccia…sarà l’indirizzo giusto? Parcheggiamo lo scooter noleggiato per girare Ischia (sono 10 anni che non ne prendo uno in mano ma se mi seguite sapete che sto riprendendoci la mano…) e saliamo a piedi. Ecco. Se andate a trovare Nino sappiate che potete arrivarci anche in auto o in moto (meglio). Fregandovene del divieto di transito, rischiando sospensioni e gomme sulle buche, ma risparmiandovi 400 metri in salita! Che però ci hanno fatto bene. L’appetito è aumentato!

Arrivati alla location ci rendiamo conto che, da fuori, sembra tutt’altro che un ristorante. E’ più una villa con un giardino stupendo, pieno di fiori e, sopratutto, erbe! In giardino ci sono anche dei tavoli. Servono per aperitivo e dolce. Peccato oggi il tempo sia molto, troppo variabile per usufruirne. Al cancello ci viene incontro Pasquale, un perfetto mix tra gentilezza, educazione, cortesia non ingessata che ci mette a nostro agio raccontandoci del giardino e, sopratutto, di come quella che fu la casa dei genitori dello Chef sia diventato il suo ristorante.

Ma visto che ci sono inizio dalla fine. E si, perchè a fine pranzo abbiamo parlato a lungo, piacevolmente, con Chef Di Costanzo il quale ci raccontava della sua scelta di vita. Per un cuoco di un ristorante con due stelle Michelin non è difficile trovare una cucina disposta ad accoglierlo. Ma Nino ha voluto accettare la sfida di combattere, di non lasciare l’isola e di far diventare quel luogo della sua infanzia proprio il suo ristorante.

Pochissimi i tavoli, di cui due in cucina. Con nostra piacevole sorpresa ci viene riservato proprio uno di questi. L’ambiente è quasi familiare, la cucina ben dimensionata in relazione ai coperti ma, in assoluto, non grandissima. Quasi “intima”. L’arredo è il giusto mix tra minimalismo contemporaneo e folklore locale con le ceramiche a dare colore alla base bianca degli arredi. Molto belli i piani dei tavoli, niente tovaglia, stoviglie ricercatissime. E, sorpresa, molte disegnate e realizzate proprio dallo chef!

La vetreria viene da Murano, bellissimo il bicchiere dell’acqua. E si…purtroppo non ho la cultura dei vini, non li amiamo, non li beviamo. E allora ecco che ci viene servita la carta delle acque. Eh si…perchè l’acqua non è tutta uguale! Anche i menù sono artistici, con le copertine ottenute per pressione da uno stampo artistico.

Non abbiamo dubbi. Siamo a “casa” dello chef, facciamo fare a lui. Anche perchè il percorso degustazione, solitamente, porta in tavola i piatti forti del ristorante, adeguati alle nostre eventuali esigenze e gusti. Dopo una veloce chiacchierata con lo chef che ci chiede cosa ci piacerebbe mangiare, se abbiamo preferenze o meno inizia il nostro viaggio al “sud”.

E’ sempre un peccato dover mangiare composizioni così belle, ma qualcuno si deve pur sacrificare. E allora eccoci a sgranocchiare il benvenuto. Un corallo con incastrate chips di zafferano, nero di seppia, un conetto ripieno….tutto molto appetitoso e simpatico…con la ricerca tra il corallo delle parti commestibili.

E il vero e proprio percorso inizia con una bella “passeggiata napoletana”. Questo è il nome del piatto (o meglio del percorso nel percorso) che ci viene servito. Tanti assaggi di tradizione, dalle zucchine intrecciate (che solo a farle io impiegherei un giorno…con scarsi risultati oltretutto) ripiene di branzino marinato. La classica insalata caprese, pomodoro, mozzarella e basilico. La parmigiana di melanzane nel bicchierino, il cannoncino nero che è una riproduzione della merenda dei bambini napoletani di una volta (pane, burro e alici). “La spugna”, barbabietola rossa avvolta da un foglio di maizena (ovviamente da mangiare). La tartelletta formaggio (blu di bufala) e pere (pera candita) e……..

le finte mozzarelline fatte con latte di bufala e lime. Chiara riesce a mangiare la sua senza romperla. Io sono maldestro. E non ce la faccio. Prontamente lo chef ne fa preparare altre due e anche io posso assaporare l’esplosione in bocca del latte di bufala delicatamente aromatizzato al lime. Tecnica e gusto si fondono alla perfezione.

E’ il momento della degustazione di oli. Li adoro. Dai più delicati del nord ai più forti del sud, pugliesi e calabresi su tutti. Tant’è che, da un carrello fornitissimo, scegliamo un ligure di Imperia (oliva taggiasca) e un olio calabrese. Ci arriva anche il pane ed ecco che Pasquale ci scalda leggermente con la mano l’olio, ce lo fa annusare e poi via! L’attesissima scarpetta!

Il Gran Cru…do è un piatto concettualmente e tecnicamente fantastico. Si tratta di vari pesci, crudi, serviti in miniporzioni su un tetris di blocchi in vetro di Murano. Geniale la presentazione, con una composizione che via via che si mangia viene modificata dal servizio. Si va dallo scampo con mela verde, yogurt di bufala e lime (il mio preferito) al corallo di gambero rosso, con mandarino e cremoso di bufala (forma fantastica). Dalla mazzancolla alla puttanesca alla palamita in stile cesar salade e non solo….tutto fantastico.

All’arrivo del pane (che poi chiamarlo pane è quantomeno riduttivo) lo chef, che lavora a un metro da noi con una precisione e meticolosità unici, ci consiglia di non mangiarne troppo. Il percorso è ancora lungo. Assaggiamo i grissini cannella e curcuma, i crackers pomodoro e zafferano e anche le sfoglie con pomodorino e olive nere. Ma non mangiare tutto è quasi una tortura.

Tra l’altro in cucina ci sono tantissime piante ed erbe che vengono tagliate e usate nelle preparazioni proprio davanti i nostri occhi.

Arriva il risotto ai cinque limoni con gambero (a crudo, avvolto nel suo carapace) e zucchine. Cottura perfetta (al dente) da mangiare prima sopra e poi sotto. Altra piatto fantastico.

Pane Cotto. Una vecchissima ricetta per riutilizzare il pane raffermo. Uno strato di pasta fresca con all’interno il pane caldo con aglio, olio e peperoncino. Broccoli e scampi. Il tutto su una base di fagioli di campagnano. Tra tutti il piatto che mi è piaciuto meno. Ma non il piatto inteso come piatto. Quello, la stoviglie, è disegnata dallo chef in persona. Bellissimo. Il piatto, inteso come piatto buono si ma….gli altri erano eccellenti!

Da qui in poi sarà un crescendo. Pasta e patate. Piatto povero ma qui reso interessantissimo dall’uso combinato di 5 tipi di patate diverse, con preparazioni diverse e addirittura 25 tipi di paste diverse, ciascuna con un tempo di cottura diverso. Incredibile l’omogeneità dei 25 formati per quanto riguarda il punto di cottura. Al dente! Il piatto si presenta come un quadro. E un quardo rimane anche quando finisce. Tra l’altro la pasta non si raffredda grazie al fatto che il piatto viene leggermente riscaldato. Mamma quanta tecnica! E quanta pazienza nel comporlo! Sicuramente ce n’è voluta meno a mangiarlo….

Il primo secondo è un pesce. La spigola NON fritta. Cotta in olio a 62°. Una cottura confit, a bassa temperatura per lungo tempo. Ma quello che mi sorprende sono le squame fritte poste sopra, a dare croccantezza, pomodorini e una gelatina di prezzemolo. Questo tipo di cottura è fantastica. Rende tutto morbidissimo e saporito. E, udite udite…le squame erano buone! Proprio vero il detto “qualsiasi cosa fritta è buona” 🙂

Un piccolo aneddoto: il piatto su cui è servita la spigola è fatto da vecchie tavole in legno verniciate e poi resinate!! Ovviamente creazione di Nino di Costanzo.

Ed eccolo il piatto vincitore della mia personalissima classifica. L’agnello in parmigiana di melanzane. E quando ce lo portano è lo chef in persona che ci sfida a tagliarlo con un grissino. Direte voi: tagliare un agnello con un grissino?…impossibile! E invece, dopo 3 giorni di cottura sottovuoto a bassa temperatura, l’agnello diventa burro. Mixato con mozzarella e melanzane, in quantità oserei dire “stechiometrica”, restituisce una piacevolezza, un gusto, un equilibrio che in pochi piatti ho ritrovato nella mia vita. Se andate da Danì Maison non potete non prenderlo!

Tocca ora al predessert. Il pomodoro. Ovviamente un pomodoro non è…ma sembra! La sfera è di burro di cacao riempita con un sorbetto al passion fruit. Perfetto passaggio dal salato al dolce. Il passion fruit è aspro, il burro di cacao dolce. E, in questo dolce non troppo dolce, i due ingredienti sono ben equilibrati.

Il dolce di Chiara viene composto al momento. Direttamente sul tavolo dove è stata appoggiata una sottile tovaglietta tarsparente. Ellissi di cioccolato, lampone, mango, che lo chef ci disegna sulla tovaglietta, invitandoci anche a provare personalmente. Tanto cioccolato in tante consistenze e in tante declinazioni. Anche in spuma (con nocciola). Davvero scenografico e con il permesso, da parte di Di Costanzo, di leccare la tovaglietta alla fine del dolce. C’è anche un sorbetto al mango per spezzare i cioccolati. Chiara è golosa….la composizione è durata due minuti netti.

Il mio dessert è un grandissimo omaggio a Napoli. Sei “icone” storiche della città fatte dolci. Si parte dal caffè, vero e proprio rito per il napoletano doc, con tanto di “moneta”..il cosiddetto “caffè pagato” per i meno fortunati. Si passa poi agli spaghetti al pomodoro (ovviamente ne hanno solo la forma). Il terzo dolce rappresenta uno dei motivi per cui Napoli è divenuta famosa nel mondo: la “monnezza”. Totò, di ghiaccio, con il cappello in cioccolato e, infine, il miracolo di San Gennaro e la liquefazione del sangue. Il tutto viene servito su cartoline e ritagli di giornale in qualche modo legati ai dolci e con un iPad che trasmette un filmato di Napoli. Detta così può sembrare kitsch ma vi assicuro che l’immersione nell’atmosfera c’è e coinvolge! Ovviamente colonna sonora del mitico Pino Daniele. Che sia buono è scontato. Che tocchi il cuore no. E lo fa! Sopratutto se c’è lo chef di fianco che te lo spiega e ti racconta a come sia legato a determinate tradizioni.

Una tisana, fatta con erbe raccolte fresche nel giardino del Danì Maison, ci traghetta verso la piccola pasticceria.

Ottima anche questa. Ma sapete cosa ci stupisce di più? Non tanto il conto da 450 euro circa, ce lo aspettavamo. Quanto la disponibilità di Nino di Costanzo che, a fine pranzo, saputo che avevamo lasciato lo scooter ai piedi della salita per il ristorante, si è offerto volontario per accompagnarci, con il suo vecchissimo, pittoresco e perfettamente funzionante Fiat 850 pullmino!!

Esperienza fantastica! Tecnica, fantasia, sapori, uso di una grande materia prima e umanità. Ingredienti che Nino di Costanzo riesce a fondere nella sua “piccola” grande cucina. Di casa!

Ristorante Danì Maison | Ischia | via Montetignuso 4

www.danimaison.it